Black Hat SEO: il lato oscuro del posizionamento

Per rendere un sito web visibile sui motori di ricerca ci sono due modi:

  1. creare contenuti di qualità e di valore (così da fornire risposte concrete agli utenti interessati)
  2. imbrogliare gli algoritmi dei motori di ricerca

Fare Black Hat Seo significa operare nella seconda modalità. Ma andiamo con ordine!

Lo scopo del motore di ricerca è quello di fornire risultati pertinenti alle ricerche degli utenti e ciò avviene in modo automatico, attraverso un algoritmo. Cercando di capire come “ragiona” l’algoritmo si può tentare di fregarlo con contenuti di bassa qualità e costruiti su misura per lui.

Il Black Hat SEO non è altro che l’insieme delle tecniche manipolative per cercare di forzare ed aumentare il posizionamento di un sito web spingendolo in alto nei risultati di ricerca. Queste però sono tattiche illecite che violano i termini di Google e dei motori di ricerca in genere, con conseguenti penalizzazioni del sito, che precipita nel posizionamento.

Come sapere se lo specialista che ti segue applica queste tecniche?

Poniti una domanda: le tecniche sono volte solo per aumentare il posizionamento del sito, oppure la tecnica SEO è in grado di fornire reali benefici agli utenti, contenuti utili e semplificare la loro esperienza? Se la risposta è la seconda allora puoi stare tranquillo.

Le strategie black hat sono di solito usate da coloro che cercano un veloce ritorno economico sui propri siti (o quelli dei loro clienti), invece di attendere i risultati di una strategia a medio-lungo termine.

 

Perchè si chiama Black Hat?

Alcune curiosità! Black Hat, il “cappello nero”, era il simbolo dei cattivi nel cinema western tra gli anni 1920-1940, la cui controparte buona si distingueva per il “cappello bianco” (white hat). La metafora cinematografica è stata poi ripresa nell’ambito del web per identificare prima gli hacker e poi coloro che si occupano di SEO nel modo sbagliato, utilizzando tecniche non etiche o conformi alle linee guida di Google.

Restando sempre nell’ambito cinematografico, se sei un appassionato della saga di Star Wars sai bene che si basa sulla distinzione tra il lato chiaro della forza (rappresentato dai Jedi) ed il lato oscuro della forza (rappresentato dai Sith). Allo stesso modo nella SEO troviamo la white hat SEO (quella di cui parlo nel mio blog, nei miei articoli e che metto in atto per i miei clienti), e le tattiche blak hat SEO.

Un black hat SEO è un esperto di posizionamento che si avvale di tecniche illecite, con serie conseguenze future.

 

Cosa rischi con il Black Hat SEO?

Il black hat SEO è seriamente rischioso e vietato da Google, se le pratiche risultano efficaci nell’immediato, il loro successo si rivela temporaneo e soggetto a variazioni improvvise dovute alle contromisure messe in atto dai motori di ricerca. Siti promossi attraverso queste tecniche sono pesantemente penalizzati a livello di posizionamento, se non addirittura cancellati dagli indici dei motori, inflessibili anche verso i grandi marchi. Uno dei casi più famosi è avvenuto nel 2006 quando il sito ufficiale della BMW (Germania) è stato bannato da Google perché usava doorway pages per migliorare il posizionamento (o ranking). È stato riammesso dopo la correzione delle pratiche impiegate e le scuse ufficiali della compagnia tedesca.

 

Quali sono le tecniche Black Hat SEO?

Ecco di seguito le tecniche illecite più diffuse:

  1. Testo e link nascosti: è una delle tecniche più vecchie del web, ma sembra ancora oggi utilizzata. Per aumentare la keyword density (densità delle parole chiave presenti in una pagina web rispetto al numero totale delle parole) sono inserite parole chiave e link dello stesso colore del fondo della pagina.
  2. Pagine doorway o gateway: sono pagine prive di un vero contenuto, ma create solamente per essere indicizzate dai motori di ricerca e “spingere” altre pagine di un sito. Non hanno quindi nessuna utilità per gli utenti.
  3. Cloaking: pagina creata appositamente per i motori di ricerca e diversa da quella vista dagli utenti, così allo spider viene mostrata una versione differente.
  4. Keyword stuffing: ripetizione all’interno di un testo delle parole chiave (keyword) fino all’esasperazione, per aumentare la pertinenza di quel sito riguardo a quelle keywords.
  5. Desert scaping: prelevare pagine di domini scaduti – quindi non più indicizzati da Google – e riutilizzarli come propri. Un sito infatti acquisisce punteggio da link in entrata da altri siti, ma è una tecnica pericolosa non sapendo la qualità dei link in ingresso.
  6. Link spam: usare software o circuiti per scambiare link in modo automatico (link farm) ed aumentare la popolarità del sito in modo non naturale. È la tecnica dell’acquisto di link senza curarsi della pertinenza, della provenienza né tanto meno della loro qualità. Con l’arrivo di Penguin c’è stata una pulizia della SERP dai backlink di basso livello, che trascinano sempre più in basso i siti che ne fanno uso.
  7. Contenuti duplicati: fino a qualche anno fa potevi trovare nei risultati di ricerca anche pagine piene di contenuti duplicati e non di valore, ma oggi posizionarsi con questo genere di pratiche non è quasi più possibile.

 

Se inizialmente queste pratiche manipolative appaiono nell’immediato efficaci, sono in realtà effimere e temporanee, poiché i motori di ricerca prendono conseguenze dirette verso i siti che le applicano.

Ci sono solo alcuni casi in cui queste tecniche possono funzionare, sapendo bene di incorrere in penalizzazioni: per esempio se hai l’esigenza di spingere il lancio di un prodotto/servizio per un periodo di tempo limitato. Potresti acquistare un dominio per l’occasione sul quale applicare queste tecniche discusse, per dare una spinta in modo veloce. Ma io lo sconsiglio lo stesso!

Anche nei casi di urgenza ti suggerisco di procedere con la SEM (attività a pagamento per la promozione di un sito, come Facebook Ads o Google Ads), piuttosto che con la SEO deprecata. Forse la SEM è più dispendiosa, ma sicuramente più efficace e sicura.

 

Conclusioni

E’ sempre bene diffidare da chi fa uso di tecniche scorrette per ottenere risultati facilmente e in breve tempo. La SEO è un lavoro costante ed impegnativo, volta a creare contenuti utili e di qualità per gli utenti. Il black hat SEO ha dato risultati fino a qualche anno fa, e anche se le azioni sono applicate nel mondo digitale poi si ha un riscontro diretto nel mondo reale. Ti sconsiglio di affidarti a chi ti propone di seguire la via più breve e rischiosa. Un professionista non permette che i propri clienti corrano il rischio di essere penalizzati, per questo opera con impegno e costanza, senza inganni né imbrogli.